Una monumentale trabeazione in marmo, sostenuta da sottili colonne doriche con il capitello corinzio, fa da ingresso alla ex-chiesa di San Pancrazio, oggi sede del Museo Marino Marini; i due leoni posti ai lati della scalinata in “stile egizio”, ci ricordano che anticamente questa zona si trovava nel sestiere di San Brancazio1 (il cui simbolo era una branca, cioè una zampa di leone rossa), dove sorgeva una delle 36 antiche parrocchie fiorentine, secondo Giovanni Villani fondata da Carlo Magno in onore del giovane martire cristiano ucciso durante le persecuzioni di Diocleziano.

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In effetti, la prima menzione dell’edificio risale all’anno 805 e fino al 1235 nel vicino convento abitarono le monache benedettine di Sant’Ellero, poi sostituite dai frati vallombrosani; alla metà del Trecento i monaci fecero ingrandire la chiesa e intorno alla metà del Quattrocento ordinarono il nuovo chiostro insieme al refettorio e al dormitorio2. Alcuni anni dopo, il ricco mercante e umanista fiorentino Giovanni Rucellai fece ristrutturare la Cappella del Santo Sepolcro a Leon Battista Alberti, che progettò il Tempietto del Santo Sepolcro, una piccola ed elegante costruzione che doveva riprodurre la sepoltura di Cristo a Gerusalemme, in modo che i visitatori potessero compiere una sorta di “pellegrinaggio” in Terra Santa ogni volta che entravano in quel luogo. Posto al centro della Cappella, il tempietto fu interamente rivestito da tarsie di ispirazione classica, con motivi decorativi geometrici in marmo bianco e verde, tra i quali compaiono anche i simboli araldici dei Medici e dei Rucella3; alla sua morte, avvenuta nel 1481, Giovanni fu sepolto nel tempio e Giovanni da Piamonte, un allievo e collaboratore di Piero della Francesca, vi dipinse le scene di Cristo morto sorretto da due angeli e la Resurrezione.

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Tra il 1751 e il 1755 l’architetto Giuseppe Ruggeri dette inizio a una lunga serie di trasformazioni che cambiarono profondamente l’aspetto della chiesa, privata di molti dei suoi arredi originali e delle sepolture degli illustri cittadini che avevano abitato nel sestiere; la navata fu ridotta di circa un terzo e coperta da una volte a botte, il transetto fu rimodellato con la creazione di una cupola affrescata e venne creato un grande vestibolo davanti all’ingresso della Cappella Rucellai.
Agli inizi dell’Ottocento, durante la dominazione napoleonica, il complesso religioso di San Pancrazio fu soppresso e i locali della chiesa vennero inizialmente usati come sede della Lotteria Imperiale francese; al posto del portale trecentesco venne sistemata la trabeazione con il delicato fregio a scanalature ondulate – realizzato dall’Alberti per la facciata della cappella – e due leoni prelevati dalle Cascine trovarono posto accanto alla scalinata.

Dal 1883 la chiesa sconsacrata fu destinata alle lavorazioni di pregio della Manifattura Tabacchi, portando a un’ulteriore ridefinizione dei suoi spazi interni, con la costruzione di un piano rialzato su ballatoi e travi metalliche. Dopo lo spostamento della Manifattura nel nuovissimo edificio progettato da Pier Luigi Nervi, nel 1937 la chiesa diventò il deposito della Caserma Vannini, a cui erano stati assegnati gli ambienti del vecchio convento.
L’ultimo capitolo della storia di San Pancrazio è iniziato nel 1986, a seguito degli importanti interventi di recupero e restauro della struttura diretti da Lorenzo Papi e Bruno Sacchi, che hanno permesso di allestire il museo dedicato a uno dei maggiori scultori del secolo scorso.

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Note
- Firenze fu divisa in sestieri (cioè in sei parti) dal 1173 al 1343. Il sestiere di San Pancrazio prendeva il nome da una delle porte delle mura della città (che si trovava all’incrocio tra l’odierna Via Tornabuoni e Via Strozzi) e da questo antico complesso religioso, il cui nome veniva storpiato dai fiorentini in “Brancazio”.
- Risalgono a quel periodo anche la cripta, il transetto ed il coro.
- La vela spiegata al vento era l’impresa personale di Giovanni Rucellai (che si vede anche sulla facciata di Santa Maria Novella), il mazzocchio a tre piume era il simbolo di Cosimo il Vecchio, l’anello di diamante con due piume era quello di Piero il Gottoso e infine i tre anelli con la punta di diamante appartenevano a Lorenzo il Magnifico.
Bibliografia di riferimento:
Bruno Sacchi, Il Museo Marino Marini, a cura di Luca Barontini, Firenze, MM, 2012.
Brava Elena. Conciso ma preciso.
Ciao!
G.P.
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Sempre gentilissimo grazie a te!
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Grazie mille Elena Buona settimana Catia
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Grazie mille cara
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