Strade di Firenze: chiassi e vicoli (1)

Viene sempre ricordata come la “Culla del Rinascimento” (espressione che personalmente mi fa venire l’orticaria 😅), ma la grandezza di Firenze passa anche dai luoghi e dalle storie della città medievale. Molte delle chiese e dei suoi palazzi più importanti sono stati fondati in quel periodo, anche se il tessuto urbano antico è stato in gran parte stravolto negli anni del Risanamento e oggi risulta più difficile “leggere” un edificio o una strada che sono stati privati del loro contesto originale. Esistono però tratti ancora molto caratteristici e suggestivi del centro, spesso nascosti in delle vie così piccole da non essere indicate nemmeno sulle cartine e che vengono chiamate chiassi, (da non confondere con i vicoli perché non sono la stessa cosa!)

A dire il vero, il chiasso è una via stretta e corta – per cui di fatto è sinonimo di vicolo – ma se la cercate nel dizionario dell’Accademia della Crusca, vedrete che questa parola ha diversi significati, tra cui rumore forte, scherzo e addirittura bordello (l’espressione “andar per chiasso” voleva dire recarsi nelle case delle meretrici) e quindi viene spesso usata per indicare una viuzza sudicia, mal frequentata e di rango inferiore rispetto al vicolo.

Tra i chiassi attualmente sparsi per il centro ecco un itinerario che si svolge nella zona tra Ponte Vecchio e Santa Trinita.

2#stradedifirenze: chiassi e vicoli

La nostra “porta” sulla città medievale si trova a due passi dalla Loggia del Mercato Nuovo e dalla fontana del Porcellino: è il Vicolo della Seta, che prende il nome da una delle più potenti e prestigiose Arti di Firenze. Quando si parla di “Arti” non intendiamo solo le opere nei musei o nelle chiese, ma anche le corporazioni di arti e mestieri, generalmente indicate come le antenate dei moderni sindacati. Queste associazioni avevano il compito di riunire, proteggere e organizzare il lavoro delle varie categorie economiche della città (giudici, notai, mercanti, banchieri, produttori di tessuti in lana e seta ecc.) ed erano quindi composte da gruppi di persone che svolgevano lo stesso mestiere o professione. Non si trattò di un fenomeno esclusivamente fiorentino o italiano (in altri paesi venivano chiamate gilde), ma in nessun altro luogo esse raggiunsero il potere politico esercitato a Firenze.

Il Porcellino

Il bel palazzo all’angolo con Via di Capaccio fu costruito per l’Arte della Seta, che oltre ai setaioli rappresentava i calzaiuoli, i cuffiai, i cappellai, i farsettai (cioè i produttori dei farsetti, i corpetti imbottiti usati dagli uomini), gli orefici e i produttori di materassi. Agli inizi del Duecento esistevano due distinte corporazioni, quella dei baldrigai (cioè dei ritagliatori di panni) o di Por Santa Maria (dal nome della via in cui aveva sede) e quella dei lavoratori della seta, che decisero di associarsi all’Arte di Por Santa Maria nel secolo successivo; la crescente richiesta di tessuti pregiati e il grande sviluppo delle loro attività portò rapidamente i setaioli a prendere il sopravvento sugli altri iscritti e nel Quattrocento la corporazione assunse definitivamente il nome di Arte della Seta.

Via di Capaccio (sullo sfondo si vedono la loggetta del Vasari e il Palazzo dell’Arte della Seta)
Foto di Andrea Ruggeri per Officina Fiorentina

In questa foto mi vedete davanti alla loggetta del Palagio di Parte Guelfa, un edificio che risale agli inizi del Trecento e venne ampliato prima su via delle Terme, poi lungo via di Capaccio. Proprio su questo lato, nel 1420 Filippo Brunelleschi progettò il grande salone del primo piano che porta ancora il suo nome e fu successivamente ristrutturato da Giorgio Vasari, che apportò altre modifiche al palazzo, praticamente “attaccato” a quello dell’Arte della Seta per ricavare i nuovi ambienti per gli Ufficiali del Monte Comune (l’ufficio che gestiva il debito pubblico fiorentino).

Piazzetta di Parte Guelfa

Imboccando il Vicolo della Seta si arriva in Piazzetta di Parte Guelfa su cui si affacciano anche la Chiesa di Santa Maria Sopra Porta (che oggi è una biblioteca) e il Palazzo Canacci Giandonati (sede del Calcio Storico Fiorentino). La stradina senza sfondo alla sua destra è il Vicolo del Panico (spesso chiuso da un cancello), in precedenza detto Vicolo dei Davanzati o Chiassolo di Capaccio (da “caput aquae” cioè la parte finale dell’acquedotto romano), che assunse questo nome nell’Ottocento. La vicenda è piuttosto curiosa perché il Vicolo del Panico esisteva già tra Via del Corso e Via Alighieri (da tutti conosciuto come Vicolo dello Scandalo e soppresso per la condizione di forte degrado) e non aveva particolari legami storici con la viuzza in questione, ma siccome il nome era rimasto “libero” si decise di spostarlo in questa zona!

Vicolo del Panico

Avremo fatto forse meno di 50 metri – non è incredibile?? – e quindi adesso ci spostiamo in Via delle Terme (dove sorgevano le terme di epoca romana) ed entriamo nel Chiasso delle Misure, in cui aveva sede l’Ufficio del Segno, che custodiva i campioni di tutte le misure e controllava gli strumenti di misurazione, passando sotto la volta accanto alla Torre dei Buondelmonti, la famosa famiglia guelfa protagonista dei primi scontri con i ghibellini, che secondo la tradizione iniziarono con l’uccisione del giovane Buondelmonte dei Buondelmonti nel 1215.

Il Chiasso delle Misure

Da notare la buchetta del vino murata (a sinistra), mentre poco più avanti (sulla destra) un arco e una finestra nascondono un antico pozzo pubblico, di cui si vedono ancora bene i segni lasciati dalle catene calate per prendere l’acqua. Arriviamo così in Borgo Santi Apostoli, una delle vie medievali per eccellenza di Firenze, con tanti edifici e tanti incroci che la collegano a Via delle Terme (io sono passata dal Chiasso delle Misure ma di stradine come questa ce ne sono diverse); si può attraversare il Chiasso di Manetto – in buona parte ricostruito dopo la guerra – il Chiasso Cornino – per la sua particolare forma a cono – oppure il Chiasso Ricasoli – dal nome della potente famiglia che vi abitò dal Cinquecento e raggiungere la piccola e incantevole Piazza del Limbo. Un edificio che sicuramente attirerà la vostra attenzione è quello con la scritta “BAGNI DELLE ANTICHE TERME“, un piccolo stabilimento con dei bagni pubblici fatto costruire nel 1826 da Antonio Peppini nell’area in cui sorgevano le terme romane (all’epoca erano chiamati Bagni Peppini), ma basta scendere alcuni gradini per trovarsi di fronte a uno dei luoghi più mistici e ricchi di storia della città: è la Chiesa dei Santi Apostoli, soprannominata il “vecchio duomo” (pur non avendo mai avuto questa funzione) e conosciuta soprattutto per il suo legame con lo scoppio del carro, il tradizionale rito della Pasqua fiorentina. Le reliquie usate durante la cerimonia sono custodite al suo interno, in una nicchia vicino all’ingresso e consistono in tre pietre del Santo Sepolcro, portate a Firenze nel 1101 da Pazzino dei Pazzi al ritorno dalla prima crociata, con cui ancora oggi viene acceso il “sacro fuoco” usato per mettere in azione la colombina.

Chiesa dei Santi Apostoli

Guardando la facciata della chiesa notiamo due iscrizioni: quella a sinistra fa riferimento alla sua fondazione, avvenuta il 6 aprile 805 alla presenza dell’imperatore Carlo Magno e del suo fedele paladino Rolando (una leggenda secondo gli storici, che ne ritengono più probabile la costruzione intorno alla fine dell’XI secolo). La targa a destra, invece, ricorda il priore Ugolotto e i lavori di restauro e ampliamento da lui ordinati nel 1333, anche se l’edificio mantiene l’aspetto semplice e severo tipico delle costruzioni romaniche e contiene opere di importanti maestri come Andrea della Robbia, Giorgio Vasari e Bartolomeo Ammannati (Orari di visita: da martedì a sabato ore 10-12 e 17-18, domenica ore 18.15-19)

Chiasso degli Altoviti
Foto di @coupleinflorence

Continuando a camminare su Borgo Santi Apostoli ci imbattiamo in un’altra viuzza davvero caratteristica, il Chiasso degli Altoviti, anticamente denominato Chiasso della Vergine Maria (probabilmente per la presenza di un tabernacolo o di un’immagine sacra oggi scomparsi) e che in seguito prese il nome di questa nobile famiglia di origini longobarde, che abitava proprio di fronte alla chiesa dei Santi Apostoli, in un grande palazzo che aveva l’aspetto di una fortezza (oggi Hotel Berchielli). La presenza degli Altoviti in città è documentata fin dal XII secolo e molti di loro furono eletti alle maggiori cariche pubbliche, finché nel Cinquecento Bindo Altoviti provò a contrastare Cosimo I de’Medici e lui gli fece confiscare tutti i beni.

La chiesa di San Jacopo Soprarno vista dal Chiasso degli Altoviti

Il chiasso “sbuca” (come diciamo noi) su Lungarno Acciaiuoli e vi consiglio questa piccola deviazione panoramica che ha per sfondo la curiosa abside di San Jacopo Soprarno (i fiorentini la chiamano “la chiesa con il culo in Arno” perché durante le piene gli sporti vengono ricoperti e sembra che galleggi sul fiume) e il maestoso Ponte Santa Trinita, ricostruito nel Cinquecento da Bartolomeo Ammannati proprio dopo una disastrosa alluvione. Quello che vediamo oggi è la fedele riproduzione del ponte distrutto dai tedeschi nel 1944, mentre le statue che raffigurano le quattro stagioni, realizzate nel 1608 in occasione delle nozze tra Cosimo II de’ Medici e Maria Maddalena d’Austria, sono quelle originali, incredibilmente recuperate in Arno ancora intere; solo alla Primavera di Pietro Francavilla mancava la testa, su cui venne messa una “taglia” da una nota azienda di penne (circa 3000 dollari a chi l’avesse trovata o restituita) e che venne poi ritrovata nel 1961.

Ponte Santa Trinita

Girato l’angolo con Palazzo Spini- Feroni (dal 1938 proprietà della famiglia Ferragamo, in cui ha sede la famosa casa di moda) ecco apparire Piazza Santa Trinita, con al centro la Colonna della Giustizia, voluta da Cosimo I de’ Medici per ricordare la sua vittoria nella battaglia di Montemurlo (in cui aveva sconfitto gli ultimi sostenitori della Repubblica Fiorentina). L’alto fusto in granito orientale gli era stato donato da papa Pio IV e arrivò a Firenze dopo ben quindici mesi di viaggio, mentre la statua in porfido rosso che rappresenta La Giustizia è un’opera di Francesco del Tadda del 1581.

La Colonna della Giustizia vista da Via delle Terme

Qui sorge la Basilica di Santa Trinita, una delle prime chiese gotiche della città, ricostruita intorno alla metà del Duecento ma già documentata nell’XI secolo come Santa Maria dello Spasimo, una piccola chiesa romanica di cui restano alcune parti nella controfacciata e nella cripta sotterranea. La facciata fu realizzata nel Cinquecento da Bernardo Buontalenti e il suo interno è scandito da numerose cappelle di famiglia, decorate con dipinti e affreschi di epoca rinascimentale e barocca.

Piazza Santa Trinita

Tra queste vi segnalo la bellissima Cappella Sassetti con le “Storie di San Francesco d’Assisi” di Domenico Ghirlandaio, primo maestro di Michelangelo e pittore molto richiesto alla fine del Quattrocento. Il ciclo di affreschi, considerato tra i più belli del Rinascimento a Firenze, fu commissionato da Francesco Sassetti, un ricco banchiere fedelissimo dei Medici (a lungo capo della filiale francese del banco) che godeva del diritto di patronato sulla Cappella Maggiore di Santa Maria Novella e lo perse quando manifestò l’intenzione di affrescarla con le storie del suo protettore (i padri domenicani non la presero bene!). Così Francesco dovette cercare una un’altra chiesa e questa divenne la sua cappella funeraria: nelle arcate ai lati, infatti, vediamo la sua tomba e quella della moglie Nera Corsi, scolpite nella pietra nera di paragone da Giuliano da Sangallo e i loro ritratti rivolti verso la pala d’altare con L’Adorazione dei pastori (sempre di Ghirlandaio). La scena più famosa alle pareti è “La conferma della regola“, che rappresenta l’incontro tra San Francesco e Papa Onorio III e che invece di svolgersi a Roma, è ambientata in Piazza della Signoria, dove si riconoscono la Loggia (ancora vuota), Palazzo Vecchio e la chiesa di San Pier Scheraggio (gli Uffizi allora non esistevano!). Francesco Sassetti compare con il figlio Federico a fianco di Lorenzo il Magnifico tra i personaggi in primo piano a destra (altri suoi figli sono nel gruppo a sinistra vestiti di rosso) e dalla scalinata al centro “emergono” le figure di Agnolo Poliziano con i figli di Lorenzo (in ordine Giuliano, Piero e Giovanni); eh già, quel biondino che vedete lì sotto è proprio papa Leone X da bambino! (Orari di visita: da lunedì a sabato ore 8-12 e 16-18.15, domenica ore 8.15-10.45 e 16-18.15)

Cappella Sassetti (dettaglio)
Foto Wikipedia

Sul lato opposto della piazza vediamo anche l’elegante Palazzo Bartolini-Salimbeni, costruito nel 1523 da Baccio d’Agnolo, ispirandosi ai modelli dell’architettura romana. Egli fu molto criticato per essersi allontanato dalla tradizione fiorentina, addirittura per l’eccessiva presenza di nicchie per le statue – ritenute più adatte alla facciata di una chiesa che a quella di un palazzo – e siccome era già stato oggetto di scherno qualche anno prima (quando la sua decorazione per il ballatoio della cupola del duomo era stata definita una “gabbia per grilli), decise di rispondere ai suoi detrattori con l’iscrizione sull’architrave del portone d’ingresso: “carpere promptius quam imitari” che significa “è più facile criticare che imitare”.

Palazzo Bartolini Salimbeni
Foto Sailko

Tra l’altro questa non è l’unica scritta presente sul palazzo su cui compare anche il motto “per non dormire” insieme a tre papaveri, probabilmente posta su richiesta del committente e che rimandava a una storia di cui la famiglia si era resa protagonista secoli prima. Si raccontava infatti che un giorno i Bartolini seppero dell’arrivo di un grosso carico di tessuti a Livorno e organizzarono un banchetto a cui invitarono tutte le famiglie più importanti della città: durante la cena drogarono i presenti con il papavero e così la mattina dopo nessuno tranne loro si presentò al porto per acquistare le stoffe, ricavandone un grosso guadagno.

Il Vicolo dei Davizi a fianco di Palazzo Davanzati

Prendiamo infine Via Porta Rossa, la strada a fianco del palazzo che probabilmente deve il suo nome alla Postierla di Porta Rossa, una piccola porta di colore rosso anticamente posta sulle mura e che ci conduce verso Palazzo Davanzati, costruito nel Trecento per i Davizi (una ricca famiglia di mercanti) e passato nel Cinquecento ai Davanzati, che acquistarono molti edifici nei dintorni, demoliti nel corso del Risanamento del centro storico alla fine dell’Ottocento. A destra vediamo il delizioso Vicolo dei Davizzi, che attualmente corre lungo due lati del palazzo; il primo tratto si affaccia su Via Porta Rossa (chiuso da un cancello di ferro) e presenta i caratteristici archi di rinforzo, mentre il secondo prosegue sul retro e termina con un muro. In passato, però, sembra che il suo tracciato fosse più lungo e collegato a Via delle Terme attraverso una serie di passaggi privati. Dopo l’estinzione della famiglia Davanzati, infatti, il palazzo e il vicolo andarono incontro a un periodo di incuria e degrado; gli spazi originari subirono varie modifiche e vennero dati in affitto a famiglie, circoli, associazioni e attività commerciali (nelle foto dell’epoca, ad esempio, si nota come l’ingresso del vicolo fosse occupato dal negozio “Penne e Fiori“). Agli inizi del Novecento Palazzo Davanzati fu acquistato dall’antiquario Elia Volpi che fece restaurare l’immobile e le sue pertinenze (liberandole dalle superfetazioni) e nel 1910 aprì il Museo della Casa Fiorentina Antica.

Museo di Palazzo Davanzati
Foto @coupleinflorence

Vi lascio quindi con la visita del museo di Palazzo Davanzati (avevo già scritto un articolo che trovate qui)

Fonti e riferimenti:

Pubblicato da Elena Petrioli

Guida turistica di Firenze

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