Sapete che cosa lega Firenze allo zabaione? Niente, penserete. E allora bisogna che vi racconti la storia di San Pasquale e della Venerabile Compagnia dei Quochi, l’associazione che si occupa dello studio e della tutela delle nostre tradizioni enogastronomiche.

Partiamo da un luogo noto a tutti e che si trova nel cuore del quartiere medievale, l’antichissima chiesa di Santa Margherita de’ Cerchi (costruita nell’anno 1032 e più volte rimaneggiata nel corso dei secoli), meglio conosciuta come la “chiesa di Dante”. È qui che il Poeta si sposò con Gemma Donati ed è sempre qui che vide per la prima volta l’amata Beatrice, morta nel 1291 e sepolta sotto la mensola dell’altare laterale sinistro.

Sul pavimento di fronte all’altare maggiore, si trova invece una grande lapide in marmo che indica il sepolcro della Venerabile Compagnia dei Quochi, una confraternita fondata nel Cinquecento da un ristretto gruppo di appassionati d’arte, cultura e buon cibo, i quali si affidarono a San Pasquale Baylon come loro santo protettore.
Nato nel piccolo paese aragonese di Torrehermosa da una famiglia di pastori, il religioso mostrò fin da bambino una spiccata devozione verso il sacramento dell’Eucarestia e si sottopose a lunghi digiuni e pratiche di flagellazione anche dopo il suo ingresso nel convento dei francescani scalzi (l’ordine fondato da Pietro di Alcantara) di Santa Maria di Loreto. Per molti anni ebbe la mansione di frate portinaio, ma svolse anche altre attività nei conventi in cui fu inviato; uomo di grande umiltà e bontà d’animo morì il 17 maggio 1592 a Villareal e fu canonizzato il 16 ottobre 1690 da papa Alessandro VIII. Il suo culto in Italia si diffuse a partire dalla seconda metà del XVII secolo, quando arrivarono i padri alcantarini che costruirono i primi conventi dei frati minori scalzi nel nostro paese e la sua figura divenne molto popolare al sud (non a caso, in certe regioni, Pasquale è un nome assai comune), dove le donne lo invocavano per trovare marito.

(Foto Wikipedia)
San Pasquale venne inoltre scelto come protettore dei cuochi e dei pasticceri perché in convento si occupava spesso della cucina e, secondo una diffusa tradizione, fu l’inventore dello zabaione. Si racconta che la ricetta originale a base di uova, zucchero e vino – oggi si usa il liquore marsala – venne creata “per sbaglio” durante la preparazione di una frittata, nel periodo in cui egli viveva a Torino, forse nella vecchia chiesa di San Tommaso apostolo, in cui dalla metà del Cinquecento si era insediata la comunità francescana. Pare che il santo spagnolo raccomandasse la preparazione di questa crema dolce e rinvigorente alle parrocchiane che curavano i bambini e gli anziani ammalati, ma anche a quelle che si lamentavano dell’intimità con il proprio marito e in breve tempo tutta la città iniziò a chiamarla la “bevanda di Fra’ Baylon”. La parola zabaione sarebbe quindi nata da sambajon (in pratica dalla storpiatura del nome del santo), anche se le sue origini restano incerte e contese, da alcuni riferite a Zuan Bajon, dal nome del condottiero Giampaolo Baglioni oppure alla bevanda veneziana nota come zabaja.
La cosa certa è che a Torino lo zabaione è una cosa seria ed è proprio nel capoluogo piemontese che si trova la delegazione più numerosa della Venerabile Compagnia dei Quochi. Per questo sono andata a fare due chiacchiere con l’amico Riccardo Bartoloni, titolare della Trattoria Antellesi in Via Faenza, che è stato da eletto nuovo presidente dell’associazione.

D. Quando sei entrato nella Compagnia e quali requisiti occorrono per farne parte?
R. «Sono entrato nella Venerabile circa 4 anni fa e per iscriversi non occorre necessariamente essere uno chef o un ristoratore, ma piuttosto condividere la nostra stessa filosofia del mangiare bene nel rispetto delle tradizioni, perché il cibo è cultura e dietro a molti piatti locali c’è un pezzo importante di storia.»
D. Mi fai un esempio?
R. «Le prime due cose che mi vengono in mente nel nostro caso sono la ribollita e la pappa al pomodoro, che nascono come pietanze del riuso, per non buttare via gli avanzi del giorno prima. Oppure la sai la storia del coperto? In passato i viandanti si fermavano nelle osterie per bere ma portavano con sé il cibo, che in genere veniva conservato in grossi tovaglioli. Gli osti noleggiavano loro il piatto per mangiare e da questa usanza deriva il coperto che si paga al ristorante.»
D. Che programmi ti piacerebbe realizzare in qualità di nuovo presidente della compagnia?
R. «Innanzitutto il 17 maggio, giorno di San Pasquale, andremo a Torino per l’incontro tra le nostre due maggiori delegazioni. Un progetto al quale stiamo lavorando nell’ambito di Vetrina Toscana a tavola con la Regione Toscana è dedicato proprio alla pappa al pomodoro, per cui vorremmo organizzare una gara a tema, qualcosa del tipo “la pappa al pomodoro tra tradizione e innovazione” perché anche in queste ricette sono ammesse delle variazioni, purché non vadano a snaturare l’identità della pietanza. Poi mi piacerebbe anche organizzare delle passeggiate alla scoperta delle buchette del vino, che sono un altro pezzo di storia importante della nostra città.»
D. Sei passato alla Trattoria Antellesi dopo essere stato per quasi trent’anni il titolare di Giannino in Borgo San Lorenzo. Cosa ti ha portato a fare questa scelta?
R. «Il motivo principale è stato la pandemia che ci ha obbligati a ridimensionare l’attività, ma in parte è stata anche una scelta dovuta all’età. Avendo gestito un esercizio storico per tanti anni ed essendo un membro della commissione comunale per gli esercizi storici il mio desiderio era comunque quello di restare in questa categoria, anche se oggi esistono diversi locali, che pur non avendo compiuto cinquant’anni di anni di attività continuata, sono stati inseriti in una speciale categoria detta delle eccellenze.»
D. Le problematiche relative al tuo settore a cui andrebbe posta attenzione?
R. «Certe questioni restano le stesse da ben prima della pandemia. La tassazione eccessiva non è certamente una novità ed è logico che se alcune aziende pagano soltanto un 5% penalizzano quelle che arrivano a pagare oltre il 60%.»
Cara Elena, come al solito complimenti per l’articolo dedicato allo zabaione. Conosco Riccardo per essere stato varie volte a pranzo da Giannino.
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