Il Teatro Verdi, inaugurato nel 1854 con il nome di Teatro Pagliano, sorge nel luogo dove un tempo si trovava il temuto Carcere delle Stinche, in cui venivano rinchiusi i colpevoli di reati politici, ma anche i condannati per debiti e fallimento.

Costruito nel 1299 su un terreno confiscato anni prima agli Uberti (banditi dalla città dopo la sconfitta nella battaglia di Benevento), era un edificio simile ad un immenso cubo di pietra con mura alte e spesse e circondato da un fossato che lo faceva sembrare rialzato su un isolotto (da cui ha origine il toponimo di una delle vie a fianco, detta Isola delle Stinche).
Ma da dove veniva questo nome? Nel 1304 l’esercito fiorentino aveva distrutto un castello nei pressi di Lamole – una località vicino a Greve in Chianti – detto proprio Castello delle Stinche, appartenuto ai Cavalcanti e in cui si erano riuniti gli ultimi Bianchi e ghibellini ancora in circolazione; la rivolta era stata rapidamente repressa e i prigionieri condotti nel carcere, da allora detto “delle Stinche” e che in seguito ospitò personaggi eccellenti, come lo storico Giovanni Villani e Niccolò Machiavelli.

Possiamo riconoscere la massiccia costruzione anche dalla famosa carta di Stefano Buonsignori, che ci mostra la presenza di una struttura praticamente addossata alle pareti del carcere, ossia il vascone dei lavatoi pubblici (da cui deriva l’attigua Via dei Lavatoi), sistemati qui nel 1428 dall’Arte della Lana per il lavaggio delle stoffe grezze e usati dalle donne del popolo per fare il bucato.
Nel 1834 i lavatoi furono demoliti insieme al carcere e sostituiti da un palazzo moderno e “polifunzionale”, in cui trovarono posto un circo equestre, una sala da musica per la Società Filarmonica Fiorentina e un anfiteatro all’aperto. Nel 1854 l’immobile venne acquistato dall’imprenditore Girolamo Pagliano, un ex baritono che non essendo riuscito a fare successo con la musica, si era inventato il “centerbe di lunga vita“, uno sciroppo lassativo che lo aveva reso ricco e famoso. Pagliano trasformò lo stabile in un teatro a cui dette il suo nome, inaugurato il 10 settembre del 1854 con la rappresentazione del Rigoletto di Verdi (allora chiamato Il Viscardello).

Oltre al nome delle strade intorno al teatro, dell’antico carcere e gli annessi lavatoi oggi restano solo due tracce; la prima è costituita dal tabernacolo posto all’angolo tra Via Ghibellina e Via dell’Isola delle Stinche, inserito nella grande edicola ottocentesca in pietra serena di Luigi Cambray Digny che conserva un affresco di Giovanni da San Giovanni del 1615, raffigurante il senatore Girolamo Novelli che paga il riscatto di un carcerato alla presenza di Gesù e due figure (quella a destra è l’autoritratto del pittore).

Vi è poi la piccola ma graziosa Fontana dell’Agnellino, realizzata nell’Ottocento allo sbocco della fonte dei lavatoi e che allora aveva una vasca a forma di conchiglia, purtroppo distrutta durante la guerra. Alla metà degli anni Cinquanta la fontana venne ricostruita nelle forme attuali, con una semplice nicchia di pietra serena in cui si trova la testa di un agnellino in bronzo, che richiama il simbolo dell’Arte della Lana.
