Le pitture di pietra della famiglia Scarpelli

La bottega della famiglia Scarpelli è una delle eccellenze dell’artigianato artistico, in cui si porta avanti l’antica tradizione del commesso fiorentino in pietre dure, una raffinata tecnica di mosaico nata a Firenze alla fine del Cinquecento e diventata un patrimonio comune da preservare e tramandare alle generazioni future.

Decorazioni in commesso fiorentino nel Museo dell’Opificio delle Pietre Dure

Tutto ebbe inizio con i Medici: la loro passione per le pietre dure e semi-preziose, già evidente nelle collezioni di Lorenzo il Magnifico, ebbe un incredibile sviluppo nel periodo granducale. Cosimo I adorava le opere in porfido rosso – un materiale particolarmente difficile da scolpire – mentre suo figlio Francesco I fece ricostruire il Casino di San Marco, con ambienti in cui poter praticare i suoi esperimenti e officine per gli artisti specializzati nell’intarsio e nella lavorazione del cristallo di rocca, molti dei quali fatti appositamente trasferire da Milano. Il palazzo divenne la prima sede dell’Opificio delle Pietre Dure, la prestigiosa manifattura istituita nel 1588 da Ferdinando I per realizzare la grandiosa decorazione della Cappella dei Principi, il mausoleo destinato alle sepolture della dinastia medicea e completato oltre due secoli dopo. In epoca barocca gli oggetti di arredamento in commesso fiorentino (come tavoli, stipi e cofanetti) furono molto apprezzati e si diffusero nelle più importanti corti italiane e straniere; la produzione dell’Opificio si interruppe solo nel periodo successivo all’Unità d’Italia, quando i suoi laboratori furono destinati alle attività di restauro, ma l’arte del mosaico continuò ad essere praticata nelle botteghe private, arrivando fino ai giorni nostri.

Una delle opere in commesso fiorentino a pietre dure nella bottega di Renzo Scarpelli

L’invenzione fiorentina del commesso ha in realtà origini molto più antiche.

La parola deriva dal termine latino committere, che significa congiungere e riprende una tecnica decorativa in uso tra i romani (opus sectile) che consisteva nell’intarsio di marmi colorati per creare disegni su muri e pavimenti. Rispetto ai mosaici di età imperiale vi è però una sostanziale differenza: nel mosaico fiorentino non vengono usate tessere geometriche, ma pietre di forme diverse e scelte in base alle tonalità di colore e alle loro sfumature, che permettono di ottenere riproduzioni molto più dettagliate e simili a quelle di una vera e propria pittura.

Il processo di lavorazione di queste opere inizia con la ricerca dei materiali, sia locali come la paesina, l’alberese del Chianti e i vari tipi di marmo, sia le pietre semi-preziose importate dall’estero come la malachite, l’agata, l’onice e il lapislazzulo. Questa resta una delle fasi principali di tutto il procedimento: in passato nelle botteghe esistevano i “cercatori di pietre“, che conoscevano molto bene i luoghi in cui reperire le materie prime e gli esperti di “macchiatura“, ossia delle tonalità di colore che ancora oggi risultano determinanti sull’effetto finale della composizione.

“Fette” di pietra

I blocchi di pietra grezza vengono tagliati “a fette” dello spessore di 3 mm. circa, così che l’artista possa usufruire della sua “tavolozza” di colori. Viene creato il disegno preparatorio, se ne definiscono con precisione i contorni e poi lo si ritaglia in tanti piccoli modelli che verranno incollati sulla pietra secondo la sensibilità, il talento dell’artigiano e il risultato finale da ottenere. A volte è la pietra stessa a suggerire le venature giuste e a dare l’ispirazione per realizzare un soggetto, mentre altre volte l’artista ricerca per lungo tempo la sfumatura adatta alla sua idea.

Leonardo Scarpelli esegue il taglio delle tarsie in pietra con il tradizionale archetto

Il taglio viene eseguito a mano servendosi di un arco di legno (che può essere di ciliegio o di castagno) con un filo di ferro cosparso di polvere abrasiva. I pezzi così ottenuti vengono uniti tra loro con una colla a base di cera d’api e colofonia e infine si procede alla lucidatura. Tutte queste operazioni devono essere eseguite con precisione assoluta, perché le tarsie devono combaciare perfettamente, proprio come in un puzzle: occorrono anni di esperienza, grande dedizione e pazienza per realizzare questi manufatti meravigliosi.

Renzo Scarpelli è uno dei pochi maestri di commesso fiorentino rimasti nel mondo e la sua bottega-galleria si trova in Via Ricasoli, a pochi minuti da Piazza Duomo.

Renzo e Leonardo Scarpelli con i loro collaboratori in bottega

Lavorando come guida turistica l’ho visitata più volte, ma come blogger preferisco affidarmi alle parole di Catia, la figlia di Renzo Scarpelli, che oltre ad avermi aiutato tantissimo nella parte “tecnica” di questo articolo, ha risposto ad alcune mie domande.

Mi racconti la storia di Scarpelli Mosaici? «Il babbo Renzo ha iniziato a lavorare a 13 anni nella bottega Fiaschi e nel 1972 ha aperto “Le Pietre nell’Arte”, il suo primo laboratorio, che poi si è trasferito in Via Aretina, dove pochi anni dopo è nata l’idea della vendita al pubblico. Il secondo punto vendita era in Piazza Duomo e da qui è venuta la decisione di aprire sia la galleria sia la bottega in un unico spazio, a metà strada fra la Cattedrale e il David di Michelangelo. I visitatori che vengono a trovarci in questo luogo dal fascino rinascimentale possono ammirare tutto il processo di lavorazione e alcune delle straordinarie creazioni di Renzo, che lavora affiancato da un gruppo di collaboratori esperti e da tutta la nostra famiglia: mia mamma Gabriella, mio fratello Leonardo, anche lui maestro mosaicista… e poi ci sono io che mi occupo del settore commerciale».

Gli ultimi mesi devono essere stati molto difficili.. «Moltissimo…le attività come la nostra sono già fortemente a rischio di estinzione a causa del basso ricambio generazionale e inoltre hanno particolarmente risentito della crisi del turismo internazionale dovuto alla pandemia da Covid-19. Se pensate che circa l’80% dei nostri clienti sono americani…»

Eppure alcuni segnali positivi ci sono, grazie anche alla sfilata di Pitti Immagine Uomo che si è svolta il 2 settembre scorso nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio: «Dolce e Gabbana hanno scelto di celebrare gli antichi mestieri ospitando i maestri dell’artigianato toscano. Scarpelli sono stati selezionati personalmente dal Sig. Dolce per realizzare una serie di “Clutch bags” in cui la creatività ed eleganza della maison di Alta moda si è unita perfettamente al talento, artigianalità e tradizione del commesso fiorentino di Scarpelli Mosaici.»

Scarpelli Mosaici a Pitti Immagine Uomo 2020
Catia Scarpelli a Pitti Immagine Uomo 2020

E allora auguriamoci che queste attività della tradizione fiorentina tornino presto a risplendere di luce propria. Nel frattempo potete seguire Scarpelli Mosaici anche attraverso i loro canali social e se volete conoscere meglio la storia della loro azienda, in vendita presso la galleria troverete il libro “Noi Scarpelli, una storia a Firenze” (ed. Conti Tipocolor) – con il patrocinio di OMA – Osservatorio dei Mestieri d’Arte.

Pubblicato da Elena Petrioli

Guida turistica di Firenze

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