Tra le tombe più celebrate della basilica di Santa Croce a Firenze vi è sicuramente quella di Galileo Galilei, progettata nel Settecento da Giovan Battista Foggini e Girolamo Ticciati e posta all’inizio della navata sinistra, esattamente di fronte a quella di Michelangelo. Questa sepoltura monumentale rendeva omaggio alla figura del grande fisico e astronomo a quasi un secolo di distanza dalla sua morte, grazie alla dedizione del più giovane dei suoi allievi, Vincenzo Viviani, nato in una ricca e nobile famiglia fiorentina e con un’eccezionale attitudine verso gli studi matematici. Nel 1639, a soli 17 anni, era stato proposto dal Granduca Ferdinando II come assistente di Galileo e si era trasferito nella sua casa di Arcetri, dove aveva trovato l’anziano maestro ormai quasi cieco, provato nel fisico e nell’animo dalla solitudine, dopo la sentenza dell’Inquisizione che lo aveva condannato a vivere agli “arresti domiciliari”*.

Il giovane scienziato si era preso cura di lui fino alla sua morte, avvenuta l’8 gennaio 1642 e ne aveva raccolto l’eredità scientifica, sviluppando molte delle sue idee e dei suoi insegnamenti, dai documenti e i manoscritti in suo possesso. In seguito ottenne vari incarichi di prestigio, diventando il matematico di corte del Granducato di Toscana e uno dei più autorevoli esponenti dell’Accademia del Cimento. Vincenzo Viviani trascorse buona parte della sua vita a tramandare il pensiero di Galileo e mantenerne vivo il ricordo: nel 1654 scrisse la sua biografia, contenuta nel “Racconto istorico della vita del Sig. Galileo“** e negli anni successivi si fece costruire un palazzo*** in cui fece apporre un suo busto ritratto con dei bassorilievi e due grandi cartelloni ricchi di epigrafi che ricordavano le sue maggiori scoperte.
Restava il grande rammarico di non essere riuscito a far costruire una degna sepoltura per il maestro.

Quando Galileo era morto, la Chiesa aveva concesso di celebrare un frettoloso funerale il giorno successivo (9 gennaio 1642) alla presenza dei parenti e degli amici più stretti. Nelle sue ultime volontà egli aveva espressamente richiesto di essere sepolto nella tomba di famiglia nella basilica di Santa Croce, ma le autorità ecclesiastiche avevano ritenuto che essa fosse troppo “in vista” e quindi il feretro di Galileo era stato temporaneamente lasciato nello stanzino a fianco della Cappella del Noviziato, attigua alla Sagrestia. Nessun notabile toscano era stato ammesso a partecipare e lo stesso Granduca Ferdinando II era stato diffidato da rendere qualunque tipo di omaggio pubblico allo scienziato; il sovrano, che aveva mostrato un sincero interessamento in proposito, si era anzi visto recapitare un chiaro avvertimento dal Santo Uffizio in un cui gli si ricordava che «non è bene fabbricare mausolei al cadavero di colui che è stato penitentiato nel Tribunale della Santa Inquisitione, ed è morto mentre durava la penitenza nell’epitaffio o iscrittione che si porrà nel sepolcro, non si leggano parole tali che possano offendere la reputatione di questo Tribunale.» (dalla lettera di Francesco Barberini – nipote di papa Urbano VIII – all’inquisitore di Firenze Giovanni Muzzarelli).
In seguito, durante il regno di Cosimo III, l’influenza del clero aveva raggiunto livelli inauditi e alla morte di Viviani, avvenuta nel 1703, la riabilitazione della figura di Galileo sembrava ancora una cosa impossibile. Fu soltanto dopo la morte del “principe santo” e con l’orientamento decisamente più laico del figlio Gian Gastone, che giunse il tanto atteso momento di dare una degna sepoltura a Galileo. Si inizio così a lavorare al progetto del mausoleo e ancora una volta fu Vincenzo Viviani ad occuparsi di tutto: nel suo testamento, infatti, aveva dato disposizione ai suoi eredi di provvedere alla costruzione di una tomba monumentale per il maestro, accanto al quale egli aveva voluto essere sepolto nello stanzino della cappella e accanto al quale sarebbe stato sepolto nella nuova tomba realizzata a sue spese.
Nel 1737 si potè finalmente procedere alla traslazione dei corpi, che avvenne alla presenza di numerose autorità, come risulta dal dettagliato verbale redatto dal notaio Giovanni Camillo di Pasquale di Piero Piombanti. Il primo “deposito” ad essere aperto fu quello di Viviani, che si trovava nella parete destra della stanza, senza iscrizioni o decorazioni e posto di fronte al busto in gesso di Galileo, che egli stesso aveva fatto apporre nel 1674. Eseguito il riconoscimento da parte dei presenti, le sue spoglie vennero trasferite nella nuova tomba lungo la navata della chiesa. Venne poi spaccato il muro per recuperare le spoglie di Galileo, ma ci si accorse subito che le bare tumulate erano due.
Aperta la prima cassa, apparvero i resti di un uomo «molto vecchio, con residui di doppia veste di lino», che venne riconosciuto essere ciò che restava di Galileo, sepolto nella cassa senza alcun effetto personale («..e non fu trovato vestigio alcuno di lettere, o caratteri, né altro ricordo veruno in qualunque forma»). Restava da capire chi si trovasse nella seconda cassa e con una certa sorpresa si scoprì che si trattava di un corpo femminile. Chi poteva essere la donna sepolta nello stanzino insieme a Galileo? Sembra ormai accertato che si trattasse di Virginia, la figlia maggiore dello scienziato, che nel 1616 si era fatta suora di clausura insieme alla sorella Livia, prendendo il nome di Suor Celeste: la ragazza scriveva spesso al padre e questa ricca corrispondenza è raccolta in un sito che vi segnalo qui sotto e fu interrotta dalla precoce morte della ragazza, avvenuta il 2 aprile 1634.

Un’ultima curiosità che riguarda la traslazione delle spoglie di Galileo, ma della quale il notaio Piombanti non fa menzione nel suo verbale: durante le “operazioni” si pensò bene di prelevare alcune parti del suo corpo (3 dita, 1 dente e 1 vertebra) poi deposte in reliquiari e ancora oggi conservate tra Firenze e Padova.
Note
*La condanna di Galileo fu emessa nel 1633: egli non poteva ricevere visite e anche quelle dei parenti, dovevano prima essere autorizzate dalle autorità ecclesiastiche. L’unico contatto con l’esterno ammesso era quello epistolare, per cui egli poteva ricevere e inviare lettere ad amici e sostenitori. Molto ricca è in effetti la corrispondenza con la figlia Virginia, che si era fatta suora di clausura e morì nel 1634, senza che lo scienziato potesse rivederla.
**Il testo venne pubblicato solo nel 1711, anni dopo la morte dello stesso Viviani e contiene varie informazioni anche sulla vita privata di Galileo.
****Palazzo Viviani si trova in Via S. Antonino e venne ristrutturato con i soldi di una pensione che lo scienziato aveva ricevuto per i suoi servizi dal re di Francia Luigi XIV. Per la decorazione della facciata viene chiamato Palazzo dei Cartelloni.