Presentata come l’evento dell’anno a Palazzo Strozzi – in collaborazione con i Musei del Bargello – la mostra dedicata a Donato di Niccolò di Betto Bardi (Firenze 1386 – Firenze 1466), più semplicemente conosciuto come Donatello, sorprende innanzitutto per la quantità e la varietà delle opere esposte, molte delle quali provenienti da musei all’estero, tra cui lo Staatliche Museen di Berlino e il Victoria and Albert Museum di Londra.

A cura del Prof. Francesco Caglioti, “Donatello, il Rinascimento”, è la più grande esposizione mai dedicata a questo artista, con un percorso che si sviluppa attraverso 11 sale e ripercorre le vicende della sua straordinaria carriera, indagando i rapporti con i maestri del suo tempo e proponendo nuove attribuzioni.
È bene innanzitutto premettere che i capolavori di Donatello presenti a Firenze non si trovano a Palazzo Strozzi ma sono rimasti nella loro sede abituale, come il San Giorgio e il David del Bargello o le statue del Campanile nel Museo dell’Opera del Duomo e nemmeno le decorazioni dell’Altare del Santo di Padova, perché non sarebbe stato possibile allestire questa monografica “saccheggiando” gli altri musei per radunare tutte le opere in un unico posto. Dobbiamo pertanto pensare a una “esposizione diffusa” in vari luoghi della cultura fiorentina, che come le tessere di un puzzle alla fine compongono il quadro nel suo insieme.

La mostra di Palazzo Strozzi inizia con gli esordi del giovane Donatello nei cantieri dell’Opera del Duomo e la sua lunga amicizia con Filippo Brunelleschi. Vediamo così il raffinato David in marmo scolpito nel 1408, dalle forme allungate e ancora ispirate a modelli tardo-gotici, insieme ai due crocifissi in legno scolpiti in una sorta di competizione tra i due artisti; a sinistra c’è quello di Donatello definito “contadino” perché troppo realistico (proveniente dalla basilica di Santa Croce) e a destra c’è quello di Brunelleschi, dalla posa composta e anatomicamente perfetta (che proviene dalla basilica di Santa Maria Novella).

La sezione successiva è particolarmente interessante, in quanto dedicata alla riscoperta della terracotta, materiale molto diffuso tra gli antichi che la usavano per realizzare manufatti e oggetti di uso domestico. Donatello andò per la prima volta a Roma proprio in compagnia di Brunelleschi, che deluso dagli esiti del concorso per la porta nord del Battistero, invitò il giovane amico a partire con lui per scavare tra le rovine degli edifici imperiali. Nella Roma degli inizi del Quattrocento non doveva essere difficile ritrovare dei reperti – anche di un certo valore – ma questo periodo servì soprattutto ad accrescere e orientare la loro formazione. Donatello, difatti, riprese la tradizione della coroplastica (cioè la tecnica della lavorazione della terracotta) e la applicò alle sue Madonne col Bambino, che divennero un nuovo modello iconografico di riferimento per gli scultori dell’epoca e dei decenni successivi.

Fanno inoltre la loro comparsa altri protagonisti della scena artistica di quegli anni, a partire da Masaccio (San Giovanni Valdarno 1401 – Roma 1428), di cui vediamo il San Paolo, un piccolo pannello che faceva parte del polittico smembrato nella chiesa del Carmine a Pisa.
Da Lorenzo Ghiberti (Pelago 1378 – Firenze 1455), tradizionalmente considerato il suo maestro e diventato lo scultore “ufficiale” della Repubblica Fiorentina a cui vennero affidate le commissioni pubbliche più prestigiose, Donatello apprese le prime nozioni di oreficeria, poi messe in pratica nel Reliquiario di San Rossore e nel grande bronzo dorato raffigurante San Ludovico di Tolosa, il patrono della Parte Guelfa un tempo collocato nel tabernacolo della confraternita a Orsanmichele. Grazie a Jacopo della Quercia (Quercegrossa 1374 – Siena 1438) invece, ricevette il suo primo incarico fuori Firenze, uno dei bassorilievi per la decorazione del fonte battesimale nel Battistero di Siena.

In effetti, Jacopo avrebbe dovuto eseguire due delle sei scene previste, ma ne cedette una all’amico e fu così che tra il 1423 e il 1427 Donatello lavorò al Convitto di Erode, uno dei primi esempi di stiacciato, il suo originale e innovativo metodo per eseguire bassorilievi dallo spessore minimo, ma con grande effetto di profondità. Le idee sulla prospettiva di Brunelleschi trovavano così una felice applicazione, ordinando lo spazio in modo sistematico ma assai naturale.

Dal bronzo al marmo, la stessa tecnica venne usata per la Madonna Pazzi (scelta come immagine per la locandina della mostra), opera dai tratti tipicamente riconducibili alla devozione privata, appartenuta a Francesco Pazzi e venduta a Wilhelm von Bode dall’antiquario Stefano Bardini.
Particolarmente interessanti sono anche alcuni dipinti di piccole dimensioni derivati dai modelli di Donatello, come le tavolette di Beato Angelico e Filippo Lippi, che mostrano l’intesa fase di studio e di ricerca formale svolta dai pionieri del Rinascimento.

Dopo un nuovo soggiorno a Roma, dove Donatello rimase dal 1432 al 1433, comparvero gli spiritelli, ossia i puttini alati, la versione pagana degli angioletti cristiani con cui l’artista aveva già decorato il pastorale del San Ludovico di Tolosa e che in questi anni divennero un altro tratto caratteristico della sua produzione. Proveniente dal Bargello è la misteriosa scultura di Amore-Attis, in passato identificata anche con il dio Mercurio o Ercole bambino per la presenza dei serpenti sotto i suoi piedi.

Gli spiritelli vennero impiegati anche nella decorazione della cantoria del Duomo di Firenze e nel pulpito del Duomo di Prato, una tra le opere più importanti progettate dalla compagnia che Donatello aveva aperto nel 1424 con Michelozzo e che fu completata con molti interventi da parte di allievi.

Gli anni Quaranta del Quattrocento rappresentarono un momento di svolta nella vita dello scultore, che dopo aver lavorato alle porte in bronzo per la Sagrestia Vecchia di San Lorenzo decise di andare a Padova, anche per sfuggire alle feroci critiche di Brunelleschi (che ne aveva disegnato lo spazio interno e le considerava troppo aggettanti), causando la rottura della loro amicizia. Donatello avrebbe dovuto fermarsi in città solo per alcuni mesi e vi rimase per ben undici anni (dal 1443 al 1454), lasciando alcuni tra i suoi capolavori come il Monumento al Gattamelata, il Crocifisso e l’Altare Maggiore per la Basilica del Santo.

Notevole fu la sua influenza sugli artisti locali, tra cui Liberale da Verona, Marco Zoppo, Giorgio Schiavone e lo stesso Andrea Mantegna, di cui vediamo alcune Madonne col Bambino e il gruppo di grandi bronzi del Duomo di Ferrara eseguito da Niccolò Baroncelli, artista fiorentino amico di Donatello che per un periodo visse in casa sua e morì nel 1453.
Le ultime due sale raccontano del ritorno di Donatello in Toscana, con il soggiorno a Siena (dal 1457 al 1461), dove eseguì la statua del Battista per la Cattedrale, le commissioni per i Medici (per i quali lavorò in esclusiva negli ultimi cinque anni della sua vita) e l’avvio di un colossale monumento equestre per il re Alfonso V d’Aragona, di cui venne realizzata soltanto la testa del cavallo, ispirata ad un bronzo antico facente parte delle collezioni medicee.

La mostra resterà aperta tutti i giorni fino al 31 luglio (dalle ore 10 alle ore 20, il giovedì fino alle 23) e sul sito di Palazzo Strozzi è disponibile la mappa digitale con tutte le opere del maestro presenti in Toscana.

Sempre brava Elena. Concisa ma efficace! Saluti.
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Ti ringrazio molto come sempre!!!
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