Piero Bargellini lo definì “il più fiorentino” tra i monumenti di Firenze: una chiesa dalle forme e funzione insolite, che divenne il simbolo del prestigio raggiunto dalle corporazioni medievali. Un luogo di culto sia del potere religioso, sia del potere civile, perché in questa città sacro e profano andavano a braccetto ben prima del Rinascimento.

La storia di Orsanmichele ebbe inizio molti secoli fa, quando l’antico oratorio di San Michele Arcangelo, costruito nel VIII secolo e detto San Michele in Orto (da cui deriva il nome Or-san-michele) venne abbattuto per far posto al mercato del grano.
Nel 1290 fu costruita una loggia – che la tradizione attribuisce ad Arnolfo di Cambio – e uno dei suoi pilastri fu decorato con un dipinto raffigurante la Madonna col Bambino1, che divenne oggetto di grande venerazione da parte dei fiorentini. La loggia fu usata anche dalla Compagnia dei Laudesi, una confraternita laica con una speciale devozione per la Vergine che si riuniva per cantare le lodi in suo onore.
La loggia fu distrutta da un incendio nel 1304 ma venne ricostruita qualche anno più tardi su progetto di Francesco Talenti, Neri di Fioravanti e Benci di Cione. A partire dal 1367 le sue arcate furono murate e l’edificio venne rialzato di due piani, destinati a magazzino. Alla fine del Trecento il mercato venne spostato e la loggia fu trasformata in chiesa.
Orsanmichele venne posta sotto il patronato delle Arti di Firenze, le potenti corporazioni di arti e mestieri che all’epoca si erano già solidamente insediate al governo della città. Ognuna delle sette Arti Maggiori ricevette l’incarico di porre la statua del proprio santo protettore in uno dei tabernacoli disposti lungo il perimetro esterno della chiesa. Le altre edicole vennero affidate ad alcune delle Arti Medie e una al cosiddetto Tribunale di Mercatanzia2. In realtà alcune tra le corporazioni più ricche (come l’Arte della Lana e l’Arte della Seta) avevano già provveduto alla commissione di alcune statue, ma l’ufficialità del provvedimento arrivò solo nel 1404. In ogni caso la decorazione di questo complesso coinvolse alcuni tra i massimi scultori del Rinascimento: Lorenzo Ghiberti e Nanni di Banco scolpirono tre statue ciascuno e a Donatello ne vengono attribuite sicuramente 2, ma figurano altri artisti come Brunelleschi e Verrocchio, fino ad arrivare a Giambologna che terminò la sua opera addirittura agli inizi del Seicento.
I tabernacoli di Orsanmichele sono in tutto quattordici, tre sul lato corto e quattro sul lato lungo: molte statue furono realizzate in marmo, mentre quelle in bronzo vennero richieste solo da alcune delle Arti Maggiori, per gli altissimi costi di esecuzione. Nell’Ottocento le opere in marmo vennero annerite da una patina scura, per dare un aspetto più omogeneo alla decorazione esterna e oggi tutte le statue nelle nicchie sono state sostituite da copie: gli originali sono stati restaurati e si trovano al primo piano dell’edificio, tranne il San Giorgio di Donatello che è esposto al Bargello.
L’unico modo che ho per farvi vedere tutti i tabernacoli esterni è quello di fare un girotondo virtuale intorno alla chiesa. Ve li presento uno per volta con qualche informazione sulla corporazione e scoprirete che il mondo delle Arti (non solo quelle figurative) è ricco di storia e sorprese.
LATO SU VIA CALZAIOLI
Tabernacolo dell’Arte di Calimala – San Giovanni Battista, statua in bronzo di Lorenzo Ghiberti (1413-16)

L’Arte di Calimala era la corporazione dei mercanti, una delle più potenti e tra le prime a essersi costituita a Firenze (le prime notizie risalgono al 1182) e con un nome di cui resta ancora da capire il significato esatto. Per lungo tempo la sua attività commerciale fu basata sull’importazione di lana grezza dalla Spagna e dall’Inghilterra, dei cosiddetti panni franceschi (acquistati alle fiere in Francia) e di altri materiali preziosi come oro, argento, gemme e seta. Le pezze comprate all’estero venivano marchiate e confezionate a forma di balla chiamata torsello (come quello che si vede nel simbolo della corporazione tra gli artigli di un’aquila) e trasportate a Firenze a dorso di muli. I panni di lana grezza passavano poi attraverso un lungo processo di lavorazione per diventare prodotti finiti di alta qualità, rivenduti sia in Italia che all’estero. Si possono dunque intuire i grandi interessi che legarono Calimala alle arti “sorelle” del Cambio e della Lana (in seguito anche all’Arte della Seta) e non caso si rivolsero tutte a Lorenzo Ghiberti per la decorazione del loro tabernacolo. La statua di San Giovanni Battista fu la prima commissione ricevuta dall’artista per Orsamichele, mentre era ancora impegnato nella decorazione della porta nord del Battistero. Si trattava inoltre della prima statua ad essere eseguita in bronzo anziché in marmo, come segno di prestigio della corporazione e la prima grande opera realizzata in città con il metodo della cera persa. Ghiberti riprese questa tecnica tipica dell’arte antica non senza qualche esitazione: nel suo diario egli annotò il timore di dover pagare di tasca propria gli errori della fusione (che per questo venne compiuta in 4 parti separate e poi assemblate) e tuttavia il restauro del 1994 ha rilevato delle imprecisioni nel calcolo dei pesi che non consentono alla statua di restare in piedi da sola. La pulitura ha anche riportato alla luce le tracce di doratura sull’orlo della veste, in cui lo scultore appose la sua firma “OPUS LAUURE[E]NTII”. Il severo giudizio della critica è stato rivisto dagli inizi del secolo scorso e oggi questa statua viene considerata uno dei massimi capolavori dell’arte tardogotica fiorentina. Anche il progetto dell’edicola in marmo sembra sia da attribuire al Ghiberti, ma venne realizzato da Albizio di Pietro.
Tabernacolo del Tribunale di Mercatanzia – Incredulità di San Tommaso, statua in bronzo di Andrea del Verrocchio (1473-1483)

L’edicola, che apparteneva alla Parte Guelfa e conteneva San Ludovico di Tolosa (la statua in bronzo dorato di Donatello oggi nel museo di Santa Croce), fu acquistata dal Tribunale di Mercatanzia nel 1463. L’opera venne terminata da Verrocchio dopo diversi anni di studio e si presenta come una composizione molto innovativa, in cui la figura del Cristo e di San Tommaso sono “dialoganti”. La tecnica di fusione risulta in questa caso eccellente: le figure vennero eseguite con lo stesso metodo di un bassorilievo e appaiono vuote sul retro.
Tabernacolo dell’Arte dei Giudici e dei Notai – San Luca, statua in bronzo di Giambologna (1583-1602)

La professione di giudice o notaio non era facilmente accessibile a tutti perché prevedeva un lungo percorso di studi e l’appartenenza a questa corporazione era segno di distinzione nella società del tempo, anche nell’abbigliamento: i suoi iscritti infatti indossavano un lungo abito rosso con un berretto di panno dello stesso colore e a loro ci si doveva rivolgere con l’appellativo dominus (per i giudici), mentre andava bene un semplice ser per i notai. I giudici fiorentini però non potevano esercitare la professione in città e quando erano chiamati in servizio dovevano trasferirsi altrove, mentre avvocati e notai ambivano a trovare un impiego negli uffici comunali per avere un’occupazione stabile. Esattamente come oggi il loro lavoro consisteva nella stesura e nella registrazione di atti, sia pubblici che privati (come contratti e testamenti) e siccome era difficile far carriera nella pubblica amministrazione, molti esercitavano il mestiere da privati, magari avendo l’ufficio nella propria abitazione. Il tabernacolo dell’Arte era stato realizzato agli inizi del Quattrocento da Niccolò di Pietro Lamberti, che aveva scolpito anche la statua in marmo di San Luca, oggi conservata presso il Museo Nazionale del Bargello. Nella seconda metà del Cinquecento l’Arte dei Giudici e dei Notai ordinò una nuova statua a Stoldo Lorenzi che però fece in tempo solo a procurarsi il marmo, prima di morire nel 1583. Venne così incaricato lo scultore fiammingo che riuscì a completare la sua opera dopo circa venti anni, a causa delle numerose commissioni granducali, che ovviamente avevano la precedenza.
STATUE SU VIA ORSANMICHELE
Tabernacolo dei Beccai – San Pietro, statua in marmo attribuita a Filippo Brunelleschi (1412)

Si iscrivevano a questa corporazione i macellai, i pesciaioli e i gestori di osterie e taverne. Le norme che regolavano l’esercizio delle attività erano rigide e riguardavano le modalità di somministrazione dei generi alimentari (ad esempio il divieto di vendere carni che non venissero dai macelli), i prezzi e addirittura la revisione periodica degli strumenti, come le bilance. Pur non essendo tra le Arti Maggiori, questa corporazione godeva di una certa importanza e considerazione in città: nel Trecento la sua sede si trovava nel palazzo proprio di fronte a Orsamichele (dal ‘500 sede dell’Accademia delle Arti del Disegno) e le venne assegnato uno dei tabernacoli esterni. La statua al suo interno è una delle opere più discusse di tutto il complesso, per la quale si era fatto anche il nome dello scultore Bernardo Ciuffagni (con una datazione più tarda). Vasari l’aveva invece attribuita a Donatello. E’ l’unica statua sulla quale non sono state trovate tracce di doratura nel corso del restauro e ciò fa pensare che non le avesse fin dall’inizio. E’ stato quindi proposto l’intervento di Filippo Brunelleschi, che vi avrebbe lavorato negli stessi anni in cui venne scolpito il cosiddetto Crocifisso delle uova, in un periodo caratterizzato da un suo forte interesse per la scultura.
Tabernacolo dei Calzolai – San Filippo, statua in marmo di Nanni di Banco (1410-1412)

Appartenevano a questa corporazione i calzolai, gli zoccolai, i cintai, i pianellai e i collettai (ossia chi produceva le pianelle e i corpetti da indossare sotto le armature): praticamente tutti artigiani che lavoravano la pelle e il cuoio. Alla fine del Duecento l’arte dei Calzolai raggiunse i 4500 iscritti e godette di un certo prestigio. Tuttavia la decorazione del tabernacolo venne ordinata solo agli inizi del Quattrocento e venne scelto Nanni di Banco, un giovane scultore emergente nella Firenze di quegli anni, amico di Donatello e Brunelleschi. A questo artista vengono attribuite ben tre statue del complesso, ma di nessuna di queste abbiamo la relativa documentazione e benché la critica sia concorde nell’attribuzione, resta assai controversa la datazione delle opere. Non conosciamo infatti il loro ordine di esecuzione e quindi non sappiamo se venne scolpito prima il gruppo con i Quattro Santi Coronati nel tabernacolo a fianco o il Sant’Eligio per l’Arte dei Fabbri, ma il confronto tra le figure e le relative valutazioni stilistiche hanno ragionevolmente portato a pensare che San Filippo fu realizzato in un periodo intermedio.
Tabernacolo dei Maestri di Pietra e Legname – I quattro santi Coronati, gruppo marmoreo di Nanni di Banco (1409 – 1416/17)

La corporazione radunava i lavoratori del settore edilizio (capimastri e muratori) ma anche architetti, scultori e falegnami. Nella Firenze medievale la maggior parte delle costruzioni era di legno e mattoni intonacati (solo le chiese e i palazzi delle famiglie ricche erano in pietra) per cui anche i suoi iscritti svolgevano una funzione importante e con un rigido inquadramento professionale all’interno dei cantieri, che prevedeva una netta ripartizione dei compiti in base alle competenze. Il gruppo scultoreo all’interno di questa edicola raffigura i quattro martiri cristiani (Casorio, Claudio, Sinfoniano e Nicostrato) uccisi durante il regno di Diocleziano per essersi rifiutati di scolpire la statua di una divinità pagana da lui ordinata e che erano stati tradizionalmente assunti come santi protettori dei maestri di pietra. Molto controversa, come già accennato, è la datazione di questa opera dall’evidente impronta classica, composta da monumentali figure disposte a semicerchio, dalla posa solenne e composta e il cui volume risulta accentuato dall’avvolgente panneggio. Le statue vennero ricavate da tre soli blocchi di marmo: per le due figure di sinistra infatti vennero usati due distinti blocchi, mentre per le due di destra un unico blocco.
Tabernacolo dell’Arte dei Corazzai e Spadai – San Giorgio, statua in marmo di Donatello (1415-18)

L’arte dei Corazzai produceva tutto l’occorrente per fare la guerra e quindi gli oggetti di uso militare come armature, spade e corazze. Giorgio, il santo guerriero, venne raffigurato da Donatello con lo sguardo fiero rivolto verso il nemico e grande fu l’ammirazione tra i contemporanei fino a Giorgio Vasari che definì l’opera “vivissima nella testa della quale si conosce la bellezza nella gioventù, l’animo e il valore delle armi”. La conservazione di questo autentico capolavoro del primo Rinascimento fu messa in pericolo dalla posizione del suo stesso tabernacolo: questo infatti (insieme a quello dell’Arte del Cambio) è meno profondo rispetto alle altre edicole, per la presenza delle scale interne che conducono al primo piano, inserite proprio nel pilastro d’angolo. A questo si aggiunse una cattiva esposizione che portò a un precoce degrado della figura: nell’Ottocento la statua venne prima spostata nel Tabernacolo dell’Arte dei Medici e Speziali rimasto vuoto e in seguito alla rottura del naso da parte di una sassata fu deciso di trasferirla nel Museo Nazionale del Bargello, dove si trova ancora oggi.

Donatello eseguì anche la decorazione alla base dell’edicola che raffigura San Giorgio che libera la principessa, il più antico esempio conosciuto di bassorilievo eseguito con la tecnica dello stiacciato, introdotta proprio da Donatello, che impiegando un rilievo dalle variazioni di spessore minime, riusciva idealmente a dilatare lo spazio e renderlo molto profondo. Questa costruzione era ovviamente possibile grazie alla precisa applicazione delle regole della prospettiva a punto di fuga centrale (tirando due linee orizzontali, una lungo il portico di destra e una lungo la grotta del drago a sinistra e facendole convergere verso il centro del rilievo) che l’artista doveva aver studiato a lungo insieme all’amico Brunelleschi.
STATUE SU VIA DELL’ARTE DELLA LANA
Tabernacolo dell’Arte del Cambio – San Matteo, statua in bronzo di Lorenzo Ghiberti (1419-22)

L’arte del Cambio era nata nel 1202, quando i banchieri, i cambiavalute e i commercianti di pietre e metalli preziosi si staccarono da Calimala e fondarono una corporazione autonoma, che aveva sede in Piazza Signoria, praticamente dove oggi si trova la boutique di Chanel. I cambiatori in genere svolgevano la loro attività all’aperto, sistemando un tavolo presso il mercato e tenevano i denari nella scarsella, una borsa in cuoio o tessuto che tenevano attaccata al collo o alla cintura. Anche i mercanti ne facevano uso nei loro viaggi (dovendo spesso pagare o riscuotere grosse somme) assumendosi grandi rischi e fu per questo che venne inventata la lettera di cambio, su cui gli stessi banchieri traevano i maggiori ricavi. Eppure, se ci pensate, il lavoro di chi guadagnava con il denaro altrui non era ammesso dalla Chiesa e questo fatto, nella cristianissima società medievale, non era un dettaglio da poco. Sarebbe un argomento troppo lungo da approfondire qui (magari lo farò in un prossimo articolo) per cui mi limito a ricordare che il prestito (non necessariamente a tassi di usura) o la semplice apertura di un “conto corrente” e tutte quelle attività che oggi risultano assolutamente normali nella pratica bancaria, erano viste come un grave peccato: viene semmai da chiedersi come avessero fatto i Medici ad aprire 20 filiali in mezza Europa 😉 Come Arte “sorella” di Calimala, anche il Cambio commissionò la sua statua a Lorenzo Ghiberti e ne ordinò una che potesse competere in bellezza con il San Giovanni Battista, ovviamente sempre in bronzo. Stavolta l’artista decise di rifarsi a modelli decisamente più classicheggianti. Nel bordo inferiore del mantello del santo, che conserva tracce di doratura, si legge l’iscrizione OPUS UNIVERSITATIS CANSORUM FLORENTIA ANNO MCCCCXX. Sappiamo inoltre che l’artista sbagliò la prima fusione dell’opera nel 1421 e dovette farne un’altra a sue spese l’anno successivo: nei registri della corporazione compare l’annotazione delle spese versate a Ghiberti che venne pagato ben 650 fiorini d’oro.
Tabernacolo dell’Arte della Lana – Santo Stefano, statua in bronzo di Lorenzo Ghiberti (1428)

L’Arte della Lana fu quella con il maggior numero di iscritti, in quanto le fasi di lavorazione (dalla materia grezza al prodotto finito) erano circa venti. Si stima che nel Medioevo desse lavoro a 1/3 della popolazione fiorentina e fu la corporazione più ricca almeno fino agli inizi del Quattrocento, quando dovette cedere il primato all’Arte della Seta. Il Santo Stefano commissionato a Ghiberti doveva sostituire la statua scolpita da Andrea Pisano nel Trecento: si tratta di un’opera che non ha mai goduto di grande considerazione da parte della critica, perché posta accanto al San Matteo, dal marcato classicismo, essa appare più impostata su modelli tardogotici, specialmente nel panneggio della veste.
Tabernacolo dell’Arte dei Fabbri – Sant’Eligio, statua in marmo di Nanni di Banco (1417-1421)

La corporazione era composta da tutti coloro che lavoravano il ferro: fabbri, maniscalchi, fibbiai, coltellinai, spadai, arrotini e i maestri delle cervelliere. Oltre a occuparsi della ferratura dei cavalli, i suoi lavoratori producevano anche tanti oggetti di uso comune come posate, rasoi, catene, seghe, vanghe, bilance e i famosi anelli posti sulle facciate dei palazzi. Il santo patrono era Eligio e fu scolpito da Nanni di Banco, la cui opera non è documentata, come le altre riferite allo scultore. In questa notiamo nuovamente un’impostazione di gusto tardogotico, per cui non è dato capire se fu questa la prima statua eseguita da Nanni, con un’evoluzione del suo stile verso il classicismo (nel gruppo dei Quattro Sani Coronati) o al contrario eseguita dopo, ma con un ritorno a modelli più arcaici. La questione resta aperta dal momento che la stessa tendenza è stata notata anche nella produzione del Ghiberti (nel confronto tra San Matteo e Santo Stefano)
STATUE SU VIA LAMBERTI
Tabernacolo dell’Arte dei Linaioli e Rigattieri – San Marco, statua in marmo di Donatello (1411-1413)

L’Arte dei Linaioli era tra le più antiche perché era nata nel 1291 dall’unione tra la corporazione dei linaioli e quella dei rigattieri, che però mantennero una separazione amministrativa interna e rispettarono i rispettivi statuti fino al Quattrocento, quando si associarono sarti, farsettai e materassai provenienti dall’Arte della Seta. I linaioli producevano biancheria in lino e tela, compresi gli arredi per le chiese e il rifranto, un tessuto di canapa che serviva per l’imballaggio dei torselli. La statua del santo protettore fu inizialmente commissionata a Niccolò di Pietro Lamberti, ma nel 1411 la commissione venne assegnata a Donatello, che completò il suo lavoro nel 1413. Il San Marco è la prima opera di Donatello per Orsanmichele (a cui faranno seguito il San Pietro forse in collaborazione con Brunelleschi e il più famoso San Giorgio). Evidenti sono le somiglianze con il San Giovanni Evangelista per l’antica facciata del Duomo (oggi al Museo dell’Opera) che aveva portato la critica moderna a ritenere che questa fosse la prima statua pienamente rinascimentale nel percorso stilistico dell’artista, ma le tracce di doratura rinvenute durante il restauro sui capelli, sulla barba, sul libro, sul cuscino e sugli orli della veste costituiscono un elemento di decorazione di gusto ancora tipicamente gotico.
Tabernacolo dell’Arte dei Vaiai e Pellicciai – San Jacopo, statua in marmo attribuita a Niccolò di Pietro Lamberti (1422 ca.)

La corporazione, che esisteva fin dalla metà del XII secolo, ottenne il riconoscimento tra le Arti Maggiori solo agli inizi del Trecento. I suoi iscritti importavano pellicce e pellami di pregio dall’estero: il vaio (un piccolo scoiattolo che viveva tra Russia e Bulgaria di colore bianco e grigio) e l’ermellino erano gli animali usati per le pellicce araldiche. Una curiosità: le code di vaio venivano usate per la produzione dei pennelli. Non esiste una documentazione certa sull’esecuzione di questo tabernacolo e anche se l’attribuzione allo scultore fiorentino Niccolò di Pietro Lamberti sia concordemente accettata, resta molto più incerta la datazione dell’opera, dal gusto ancora marcatamente gotico, per le proporzioni allungate e l’assenza di profondità della figura. Anche in questo caso la pulitura della superficie ha rilevato tracce di doratura sui capelli e gli ornati della veste.
Tabernacolo dell’Arte dei Medici e Speziali – Madonna della Rosa, statua attribuita a Pietro di Niccolò Tedesco (1399-1400 ca.)

A questa corporazione erano iscritti medici, farmacisti, erboristi e altre categorie associate come quella dei merciai, cartolai (che svolgevano anche il lavoro di copisti), ceraioli e pittori, che si unirono all’Arte agli inizi del Trecento. Oltre alle “medicine” dell’epoca, come pozioni, impiastri e pillole a base di erbe e polveri minerali, gli speziali vendevano anche le spezie (zenzero, zafferano e senape) e terre e pigmenti necessari agli artisti per creare i colori per le loro opere. Non esiste una documentazione precisa sulla decorazione di questo tabernacolo e l’ipotesi più accettata al momento è che si tratti di un’opera eseguita da Pietro di Giovanni Tedesco, scultore di stile tardogotico (di origine tedesca o fiamminga) attivo nel cantiere dell’Opera del Duomo. Il suo stato di conservazione risulta assai migliore rispetto alle altre statue in marmo del complesso, in quanto nel 1628 fu spostata all’interno della chiesa e non venne annerita come quelle rimaste all’esterno. Sul basamento è riportato un fatto avvenuto nel 1493, quando un passante osò compiere un atto di sacrilegio, sfregiando la statua con un ferro, ma fu sorpreso da alcuni passanti e linciato.
Tabernacolo dell’Arte della Seta – San Giovanni Evangelista, statua in bronzo di Baccio da Montelupo (1515)

Per capire l’ascesa, sia economica, sia politica delle corporazioni a Firenze, forse basterebbe da sola la storia dell’Arte della Seta. All’inizio veniva chiamata Arte dei Baldrigai, cioè dei ritagliatori di panni ed era stata fondata agli inizi del Duecento in una piccola bottega in affitto in Via Por Santa Maria (da cui deriva il simbolo, una porta). I setaioli, che avevano una loro corporazione dal 1248, si associarono all’Arte di Por Santa Maria agli inizi del Trecento, quando, dopo il saccheggio di Lucca da parte dei pisani, molti setaioli lucchesi si trasferirono a Firenze, avviando la produzione locale del baco da seta. La loro attività ebbe così un enorme sviluppo e giunse al culmine nel Quattrocento, con la produzione di quei meravigliosi tessuti damascati e i broccati che si vedono negli affreschi: i setaioli avevano ormai preso il sopravvento sugli altri iscritti (tra cui vi erano cuffiai, cappellai e orefici) e la corporazione assunse definitivamente il nome di Arte della Seta. Essa si distinse molto nelle opere sociali e di beneficenza (basti pensare alla costruzione dello Spedale degli Innocenti), anche a sostegno dei suoi iscritti: era infatti una delle poche che prevedeva una sorta di “pensione” alle donne che restavano vedove in giovane età. La statua per il tabernacolo venne realizzata nel 1515: l’opera di Baccio da Montelupo appare evidentemente ispirata al San Marco di Donatello, nella posa, le ampie pieghe del mantello e la lunga barba fluente e fu ampiamente lodata da Vasari nelle Vite.
Entriamo adesso all’interno dell’edificio che ci riserverà altre sorprese.

L’interno ha due navate con due grandi pilastri quadrati al centro che insieme ai semipilastri alle pareti sorreggono le volte a crociera che sostengono i piani superiori. Sulla parete d’ingresso è ancora possibile vedere lo staio, l’antica unità di misura per il grano e la biada, mentre sui pilastri del lato nord (su via Orsanmichele) vi sono le buchette di scarico da cui veniva fatto scendere il grano. Pareti e pilastri sono decorati con affreschi eseguiti alla fine del Trecento da artisti come Lorenzo di Bicci e Spinello Aretino, mentre il ciclo sulle volte raffigura personaggi tratti dal Vecchio e Nuovo Testamento.

Ed ecco un’altra particolarità di questa chiesa che anziché avere un altare, ne ha due.

Il più antico è quello a destra, in cui si trova la tavola di Bernardo Daddi raffigurante la Madonna col Bambino e Angeli del 1347, che sostituì quella andata persa con l’incendio del 1304. Il dipinto è contenuto all’interno del bellissimo tabernacolo costruito da Andrea Orcagna tra il 1349 e il 1359 e firmato dall’artista sul retro dell’edicola a forma di baldacchino con decorazioni in marmo, smalti e dorature. La parte posteriore (visibile al pubblico dalla porta d’ingresso su Via Calzaiuoli) è composta da un unico grande bassorilievo con l’Assunzione della Vergine. A causa della peste del 1348 (che uccise anche il pittore Bernardo Daddi) i fiorentini iniziarono a venerare moltissimo la sua immagine nel tabernacolo: per questo motivo, nonostante la chiusura delle arcate e la costruzione dei due piani superiori, il mercato del grano venne spostato e si decise di trasformare quel grande edificio nella chiesa delle Arti.

L’altare di sinistra fu invece scolpito nel Cinquecento da Francesco da Sangallo, in sostituzione di un dipinto commissionato dalla Signoria come ringraziamento per la cacciata del Duca d’Atene Gualtieri di Brienne il 26 luglio 1343 e raffigura Sant’Anna, la Madonna e il Bambino.

Nel 1569 Cosimo I trasferì l’Archivio Notarile nei saloni ai piani superiori dell’edificio, facendoli ristrutturare dal Buontalenti: in quella occasione venne costruito anche il cavalcavia che unisce il primo piano con il Palazzo dell’Arte della Lana.
Al momento la visita della chiesa e dei piani superiori è consentita solo di sabato pomeriggio, con ingressi contingentati in tre diverse fasce orarie. L’ingresso è libero ma con prenotazione obbligatoria al costo di 3 euro a persona (maggiori informazioni sul sito https://www.bargellomusei.beniculturali.it/musei/3/orsanmichele/) Al primo piano si trovano le statue originali dei tabernacoli e dalle grandi finestre del secondo piano si può godere di una bella vista panoramica sull’intera città.

Note:
1 Vasari attribuiva questa tavola a un allievo di Duccio di Buoninsegna chiamato Ugolino da Siena.
2 Il Tribunale venne istituito nel 1359 per giudicare le controversie tra mercanti fiorentini e gli iscritti a corporazioni diverse.

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