Forse non tutti sanno che Filippo Brunelleschi, oltre ad essere un geniale architetto, aveva un naturale talento per fare gli scherzi agli amici. Da qui nasce la Novella del Grasso Legnaiuolo, una sagace burla da lui organizzata ai danni di Manetto Ammanatini, un legnaiolo che aveva la bottega in piazza San Giovanni e veniva chiamato “il Grasso” per la sua corporatura robusta.
La storia risale al 1409 e ce la racconta il Manetti, biografo dell’artista*.
*Della novella esistono varie versioni, di cui la più diffusa si trova nei manoscritti conservarti presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Io ho preferito usare quella del Manetti perchè la novella fa da prefazione alla biografia.
Qui sotto potete leggere il riassunto della novella, poi troverete il link alla versione integrale:
Brunelleschi faceva parte di una comitiva di amici, che amava ritrovarsi la sera a far baldoria e tra i presenti vi era sempre anche Manetto. Accadde però che una sera il legnaiuolo dette buca agli amici e loro decisero di organizzare uno scherzo per fargli credere di essere un’altra persona: un tale chiamato Matteo Mannini, famigerato fannullone.
Il piano scattò quando Brunelleschi andò nella bottega di Manetto, come era sua abitudine fare: all’improvviso venne un garzone che pregò Filippo di tornare subito a casa perchè sua mamma stava molto male. Manetto voleva andare con lui, ma Brunelleschi gli disse che se davvero avesse avuto bisogno di aiuto lo avrebbe mandato a chiamare. Poi si recò a casa sua, sapendo che il Grasso aveva lasciato la porta accostata e vi si chiuse dentro. Quando Manetto arrivò sull’uscio si meravigliò di non riuscire a entrare, così si mise a urlare e dall’interno rispose una voce chiamandolo “Matteo”.
Manetto non capiva, ma vista l’ora tarda pensò di tornare in bottega e di dormire là. Per strada venne riconosciuto da un uomo che lo accusava di non aver pagato un debito e che lo fece arrestare. Il Grasso protestò dicendo di non chiamarsi Matteo, ma gli fu ordinato di tacere perchè aveva già usato questa scusa altre volte.
Manetto trascorse la notte in cella e il giorno dopo conobbe un giudice, anche lui incarcerato per debiti, ma che sarebbe stato rilasciato a giorni. Egli non sapeva dello scherzo e tentò di consolare il Grasso, afflitto dal dilemma di non sapere più chi era. Il legnaiolo gli raccontò cosa gli era successo e chiese al giudice un consiglio perchè lui, essendo persona istruita, poteva aver sentito di altri casi simili al suo. Il giudice capì subito che Manetto era stato vittima di una burla, ma se ne prese gioco a sua volta, raccontandogli storie di uomini diventati altri uomini o tramutati in animali, affermando che anche un suo collaboratore un giorno era diventato un’altra persona e non era più tornato quello di prima.
Nel pomeriggio si presentarono i due “fratelli” di Matteo che lo rimproverarono per il suo comportamento, con cui metteva in forte imbarazzo anche la loro anziana madre. Per questo avrebbero pagato il suo debito, ma sarebbero venuti a prenderlo la sera quando non c’era tanta gente in giro per le strade perchè la famiglia si vergognava di lui. Quando i fratelli tornarono a prenderlo lui li seguì, ormai convinto di essere Matteo. Arrivati a casa, uno dei due andò a chiamare il parroco, gli raccontò che suo fratello Matteo si comportava in modo strano e lo pregò di venire a visitarlo. Il prete fece una lunga predica a Manetto e gli fece promettere di non dire più di essere il Grasso Legnaiolo.
Dopocena i complici misero dell’oppio nel bicchiere di Manetto, in modo che si addormentasse subito. Poi lo presero di peso e lo riportarono a casa sua, dove lui si risvegliò il mattino dopo. L’uomo si rallegrò e pensò di aver fatto solo un brutto sogno, si preparò e andò nella sua bottega, che però trovò messa tutta sotto sopra. Ad un certo punto entrarono i fratelli di Matteo, chiedendogli se il ragazzo fosse passato di lì perché loro non riuscivano a trovarlo.
Il legnaiolo era ancora più confuso, perchè ricordava la sera prima di aver cenato in casa loro che adesso lo chiamavano con il suo “vecchio” nome. Giunsero così Brunelleschi e Donatello e si misero a raccontargli la storia di questo Matteo, che arrestato dagli ufficiali della Mercanzia aveva detto a tutti di chiamarsi Manetto. Filippo inoltre gli chiese dove era stato il giorno prima, perchè era passato più volte dalla bottega e non lo aveva mai trovato.
Alla fine arrivò il vero Matteo, dicendo di essere stato per qualche giorno alla Certosa e di essere rientrato la notte precedente. Brunelleschi gli disse delle voci che aveva sentito in giro e Donatello affermò di averlo visto mentre lo arrestavano, dicendo di essere il Grasso Legnaiolo. Matteo ovviamente negò di essere stato in prigione, ma vista la storia che gli stavano raccontando, si sentiva di confidare un fatto strano accaduto anche a lui: egli era convinto di aver dormito un giorno intero e la notte seguente e di aver fatto un lungo sogno in cui si era trasformato nel Grasso, si trovava in casa sua e poi era andato in bottega per provare a usare gli arnesi del suo mestiere.
Allora anche Manetto dovette raccontare del suo strano “sogno” dove tutti lo avevano scambiato per Matteo, ma ormai si era accorto di essere stato vittima di un bello scherzo da parte dei suoi amici. Perciò decise di salutarli e andare via, ma pare fosse stata tanta la vergogna per esserci cascato in pieno, che decise di accettare l’invito di un altro suo amico, il quale si era messo al servizio di Filippo Buondelmonti degli Scolari, detto Pippo Spano, condottiero e protettore di una colonia di fiorentini in Ungheria. Fu così che la mattina seguente il Grasso Legnaiolo partì da Firenze e vi tornò solo molti anni dopo: era riuscito a far fortuna ed era diventato un uomo molto ricco.
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Ma non finisce qua: tra i tanti edifici che Brunelleschi progettò a Firenze ce n’è uno che rimanda direttamente a questa storia. E’ la Rotonda di Santa Maria degli Angeli, iniziata nel 1434 e poi rimasta incompiuta. Il denaro destinato alla sua costruzione proveniva proprio da un lascito di Pippo Spano (il cavaliere menzionato nella novella) e affidato all’Arte di Calimala, che ordinò l’aggiunta di questo edificio al grande monastero camaldolese, all’epoca centro culturale di straordinaria importanza.