“Resilienza Rosa”, la rubrica al femminile nata nel periodo di quarantena da Covid-19, mi ha dato la possibilità di intervistare diverse donne, che vivono e lavorano a Firenze e che con grande entusiasmo e disponibilità hanno accettato di raccontarsi attraverso il mio blog: tra di loro ho raccolto anche il pensiero di chi ha usato questo periodo per riflettere sulla propria vita e crede che questa esperienza sia un’opportunità di cambiamento e vada colta come un’occasione per migliorarsi.
La protagonista di questo nuovo articolo è l’Architetto Sofia Ferrer, che vive a Firenze dal 2002 – anno in cui si è trasferita qui per iniziare un Master in Architettura del Paesaggio – ma originaria di Lima, in Perù. Sofia è una bella donna di 44 anni, felice delle esperienze che ha vissuto in questi anni e con la voglia di continuare a imparare: una mente lucida e creativa, con la forza di chi vuole andare sempre avanti per raggiungere i propri obiettivi.
Diventare architetto è sempre stato il tuo sogno fin da bambina? «Da bambina volevo essere la “policia femenina” (la vigilessa). A 16 anni ho pensato che dovevo trovare un lavoro collegato all’arte per non stare davanti a una scrivania tutto il giorno: volevo un lavoro dinamico, a volte in ufficio, a volte fuori, ma sempre legato all’arte. E così decisi di studiare Architettura.»

Sofia è cresciuta in una “normalissima famiglia della cosiddetta classe media”, in cui non è mai stato fatto mancare niente a lei e i suoi due fratelli più grandi e dove fin da bambina, ha iniziato a conoscere ed amare l’Italia. La prima persona che le ha trasmesso la passione per il nostro paese e la sua cultura è stata la mamma, figlia di un medico appassionato della Divina Commedia di Dante, che le volle dare il nome di Beatriz Florencia. La mamma di Sofia sa parlare bene italiano perché lo ha studiato a scuola e insieme condividono l’interesse per l’arte, la musica e il teatro. Inoltre la sua migliore amica da ragazza era di origini italiane e lei era spesso invitata ai pranzi, le cene e le feste con la sua famiglia. Così poco dopo aver terminato gli studi ha deciso di realizzare il suo sogno e partire: «Sentii la fortissima necessità di dimostrare a me stessa di potermela cavare da sola […] Volevo farlo in totale autonomia economica, senza chiedere un euro ai miei genitori.»
Oggi Sofia è un architetto di successo e si occupa di Interior Design e Paesaggio.
Qual è l’aspetto che ami di più del tuo lavoro? «Sono felice quando creo, quando mi siedo davanti a un foglio di carta con una matita in mano e disegno ciò che penso e come dovrebbe funzionare l’oggetto a cui penso: è meraviglioso! Dal momento in cui mi sottopongono l’oggetto dell’intervento, io mi presento a lui con profondo rispetto di ciò che è, ciò che è stato e ciò che sarà. Lo studio, diventiamo amici, cerco di capire i suoi punti deboli ed è proprio in quei punti dove io intervengo per renderlo più forte. Lo rendo utile e bello per chi di lui avrà bisogno, ma soprattutto lo rendo testimone del nostro tempo perché in futuro possa raccontare alle nuove generazioni chi siamo stati.»
Ovviamente, oltre all’aspetto “poetico”, questa professione richiede anni di studio e di pratica in quanto «bisogna conoscere le normative, la storia, il paesaggio, il territorio, la cultura ecc. tutte cose che in Italia sono particolarmente complesse», ma anche un notevole sforzo di energie e concentrazione che non sempre viene pienamente compreso.
Otto anni fa Sofia ha incontrato una persona che ha dato una svolta decisiva alla sua vita: Anne Efuru Okaru, la nota designer nigeriana famosa in tutto il mondo.
La loro collaborazione è iniziata nel 2013: «Lei ha avuto fiducia in me, nelle mie capacità e io ho saputo ricambiare con la massima serietà e disponibilità nella gestione di ogni progetto che ho sviluppato insieme a lei. Ho imparato tantissimo dalle sue doti manageriali, creative, dalla sua ampia esperienza nel settore, ma ho ricevuto tanto anche a livello personale: la sua apertura mentale, la sua determinazione, la sua profonda consapevolezza della presenza di Dio in ogni momento della vita..»

In condizioni normali il loro lavoro va oltre la fase di progettazione e richiede la gestione dei preventivi e il coordinamento con un team di collaboratori esterni; inoltre molto spesso è necessario organizzare un programma di visite presso i fornitori per seguire da vicino la produzione degli ordini e siccome molte di queste aziende si trovano in altre regioni del nord d’Italia, Anne e Sofia sono abituate a trascorrere intere giornate fuori casa. Grazie allo smart working (“che di smart ha davvero poco per tutti!”) sono riuscite a mandare avanti i loro progetti anche durante la pandemia, sebbene, a parte le riunioni o gli spostamenti, Sofia gestisce buona parte del suo lavoro da casa: il suo home studio, infatti, le permette di seguire al meglio suo figlio che è ancora un bambino e ricevere i clienti come “ospiti”, in un contesto più accogliente.

Hai un hobby o una passione in particolare? «La danza moderna. L’Ho scoperta 4 anni fa tramite un’amica che balla da anni e che mi ha convinto a provare. L’ho fatto e da allora non ho più smesso. Ballare mi fa stare proprio bene, non solo fisicamente, ma anche spiritualmente. Ho conosciuto persone meravigliose grazie alla danza.»
Se tu fossi un’opera d’arte saresti..? «Giuditta e Oloferne (la statua di Donatello in Piazza della Signoria ndr). Nei panni di Giuditta ovviamente. Non mi piacciono le ingiustizie e non mi piacciono le disuguaglianze, vorrei veramente un mondo di pari opportunità.»

Come a tutte le altre donne che ho intervistato chiedo anche a Sofia se ha fiducia nel futuro e cosa crede che accadrà nei prossimi mesi: «Certo che ho fiducia nel futuro! Siamo stati così male in mezzo a una situazione così incerta come questa generata dal Covid-19, che il futuro non può che essere positivo in tutti sensi. Abbiamo capito che ciò che diamo per scontato può non esserci da un giorno all’altro. Abbiamo riscoperto le cose semplici della vita, come passare momenti in famiglia, a casa, senza dover fare niente di speciale, soltanto stare insieme. Magari abbiamo ripreso in mano uno strumento musicale che da tanto tempo non suonavamo più: a me è successo di ricordare che un tempo scrivevo poesie. Abbiamo guardato le foto di quando eravamo piccoli… Insomma, abbiamo ricordato chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo.»
In realtà credo che Sofia lo abbia sempre saputo e io le auguro di continuare a camminare e intraprendere tanti nuovi brillanti progetti.